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Come ossigenare l’acqua del laghetto

L’ossigeno disciolto è uno dei parametri fisico-chimici che più condiziona la vita negli ecosistemi acquatici, compresi i laghetti per koi.

Prima di occuparci dei differenti sistemi di ossigenazione del laghetto, è fondamentale comprendere bene il particolare comportamento dell’Ossigeno in acqua.

Trattandosi di un gas disciolto (e non di sali come nel caso dei Nitrati o dei Fosfati), la solubilità dell’ossigeno in acqua è regolata dalle leggi fisiche che riguardano la dinamica dei fluidi.

La legge di Boyle e quella di Henry, ma anche il principio di Pascal e la legge di Dalton sulle miscele di gas, chiamano in causa variabili come la temperatura e la pressione.

Anche il carico organico dell’acqua ha un’influenza importante sulla solubilità dell’ossigeno.

Ma andiamo con ordine, senza lasciarci impressionare dall’apparente complessità dell’argomento.

La dinamica dei fluidi tratta concetti e leggi che, se spiegate nella dovuta maniera, risultano alla portata di tutti.

 

L’aria che noi respiriamo è una miscela di gas costituita per il 78% da Azoto, che è un gas inerte.

L’anidride carbonica costituisce l’1% dell’intero volume, mentre l’ossigeno è presente per il 21%.

La legge di Dalton dice che:  “in una miscela di gas, come ad esempio l’aria atmosferica, la pressione totale è data dalla somma delle singole pressioni parziali dei gas che compongono la miscela”.

A livello del mare, la pressione dell’aria atmosferica è di una Atmosfera e questo valore è dato dalla somma della pressione parziale dell’Azoto, più la pressione parziale dell’Ossigeno, più quella dell’anidride carbonica.

Per semplificare al massimo l’argomento, faremo riferimento solo alla pressione parziale dell’Ossigeno, immaginandoci che l’aria atmosferica sia costituita unicamente da esso.

L’Ossigeno ha forma molecolare O2, cioè si dice che la molecola di questo gas è biatomica.

 

 

 

Per inciso, la molecola è la parte più piccola della materia che ne conserva tutte le caratteristiche fisico-chimiche.

Teniamo a mente queste precisazioni poiché torneranno utili per la comprensione di questo testo.

Adesso immaginiamo un stagno naturale, senza pompe, aeratori, cascate o altri sistemi di ossigenazione.

In che modo questo ecosistema può ossigenarsi?

Prendiamo come esempio una giornata di sole, senza vento e con una temperatura dell’aria di 20° C.

La legge di Henry dice che: “un gas (aria atmosferica) che preme sulla superficie di un liquido (acqua dello stagno) vi entra in soluzione finché non ha raggiunto all’interno del liquido la stessa pressione che vi esercita sopra”.

Quindi, il buon vecchio Henry ci dice che, già con la normale pressione di una atmosfera, l’ossigeno che preme sulla superficie dello stagno, entra in soluzione dentro l’acqua finché  non ha raggiunto all’interno del liquido la pressione di una atmosfera.

Questo processo di ossigenazione naturale avviene di continuo, notte e giorno, estate e inverno, col sole e con la pioggia,  su ogni centimetro quadrato di superficie dell’acqua.

Quando si progetta lo scavo di un laghetto, è importante prestare la dovuta attenzione al profilo batimetrico (cioè la sezione dei vari livelli di profondità) e al rapporto superficie/volume che ne consegue.

 

Nella figura qui sopra vediamo come il laghetto di sinistra abbia un profilo batimetrico con un rapporto superficie/volume più favorevole ai naturali scambi gassosi con l’atmosfera, rispetto al laghetto di destra dove questo rapporto è meno vantaggioso.

Anche il vento, la pressione atmosferica (bel tempo o brutto tempo), temperatura (estate o inverno), il carico organico (acqua pulita o inquinata), il consumo di ossigeno notturno da parte delle alghe e la pulizia della superficie aria/acqua tramite skimmer sono fattori che influenzano in maniera sostanziale gli effetti della legge di Henry.

Analizziamoli uno per uno.

Immaginiamo il solito stagno naturale, senza pompe, aeratori, cascate o altri sistemi di ossigenazione.

Il vento increspa la superficie dell’acqua, aumentando l’interfaccia aria/acqua in cui avviene lo scambio di ossigeno con l’atmosfera.

Se consideriamo la distanza AB come la superficie piatta di uno stagno (assenza di vento) e la distanza CD come la stessa superficie increspata dal vento, vediamo come la distanza CD risulti maggiore di AB.

Quindi il vento, increspando la superficie dell’acqua, aumenta l’area utile al naturale scambio di ossigeno con l’atmosfera.

Quando si sceglie il punto del giardino in cui effettuare lo scavo per il laghetto, è bene tenere conto dei venti prevalenti in quella determinata zona, così da orientarlo in maniera tale che il vento possa agire sul lato più lungo della superficie dell’acqua.

 Nella figura vediamo come i venti prevalenti, agendo sulla distanza A, possano increspare la superficie dell’acqua in maniera più efficace che se agissero sulla distanza B.

Sulla pressione atmosferica invece non possiamo intervenire in alcun modo ma occorre sapere che, durante il brutto tempo, la bassa pressione meteorologia esercita un’azione come di risucchio dell’ossigeno disciolto in acqua, facendo calare pericolosamente la sua concentrazione all’interno del laghetto.

Un corollario della legge di Boyle ci spiega come, anche le alte temperature estive riducano la concentrazione dell’ossigeno disciolto.

Senza entrare nel dettaglio, il buon vecchio Boyle ci insegna che la solubilità dell’ossigeno cala con l’aumento della temperatura.

Inoltre, d’estate le koi hanno molto appetito e il carico organico aumenta, facendo crescere il B.O.D. cioè la domanda biologica di ossigeno poiché i batteri decompositori ne richiedono moltissimo per poter compiere il loro lavoro.

Al termine di ogni giornata, quando il sole tramonta, tutti i vegetali acquatici, in particolare le alghe (presenti in qualunque laghetto) smettono di produrre ossigeno con la fotosintesi e iniziano a consumarlo, producendo anch’esse anidride carbonica (fotosintesi inversa).

Durante il periodo estivo, possono verificarsi situazioni critiche in cui, per una concomitanza di fattori, la concentrazione di ossigeno disciolto raggiunge valori pericolosamente bassi.

E’ il caso delle notti afose, in cui la situazione meteorologica peggiora rapidamente.

La bassa pressione, le alte temperature e la fotosintesi inversa dei vegetali acquatici si aggiungono al normale consumo di ossigeno da parte dei pesci e dei batteri depuranti.

In questa situazione, le carpe più grosse sono le prime a morire poiché hanno bisogno di più ossigeno rispetto agli esemplari di piccola taglia.

Anche la polvere, le foglie e ogni tipologia di detrito galleggiante sono da ostacolo agli scambi gassosi tra acqua e atmosfera e in mancanza di uno skimmer di superficie

Alla luce di queste premesse, vediamo come si può fare ad evitare disastri in un laghetto per koi.

L’evoluzione delle attrezzature filtranti ha portato allo sviluppo di apparecchiature particolarmente performanti, in grado di mantenere in perfette condizioni l’acqua del nostro laghetto.

Occorre prestare particolare attenzione alle tecniche di ossigenazione tenendo bene a mente che OGNI LAGHETTO, anche il più capiente, è SEMPRE in una condizione di sovrappopolazione, se paragonato ad un ambiente naturale di uguale volume.

Inoltre, l’impianto di ossigenazione (ma anche quello di filtraggio) dovrebbe essere tanto più performante e potente quanto più sono ridotte le dimensioni del laghetto.

La regola è: “laghetto piccolo, filtro enorme”.

Come ho dettagliatamente spiegato in uno dei miei precedenti articoli, per avere successo nell’allevamento  delle koi, è fondamentale riuscire a mantenere l’acqua in condizioni COSTANTEMENTE OTTIMALI.

Nel mio laghetto principale di circa 400mila litri, dove tengo tutti i riproduttori, l’impianto di filtraggio è costituito da un filtro a tamburo e un biologico a letto fluido, dove il movimento dei biocarriers (maccheroncini) è assicurato da due potenti aeratori a basso consumo.

biocarriers per filtro a letto fluido

Questi aeratori, oltre a muovere i biocarriers, arricchiscono l’acqua di ossigeno, con grandi vantaggi anche per i batteri depuranti aerobi.

La cascatella e i due ruscelli aiutano l’ossigenazione dell’acqua, mentre gli skimmer di superficie tengono costantemente pulita la superficie del laghetto raccogliendo ogni tipo di detrito galleggiante.

Anche l’ozonizzatore Blue Koi 3, posizionato all’inizio dell’impianto di filtraggio, oltre ad aumentare il potenziale redox dell’acqua, contribuisce in maniera  sostanziale all’ossigenazione del laghetto.

ozonizzatore Blue koi 3

La molecola di ozono “O3”, disciolta in acqua, si divide in un atomo di ossigeno attivo “O”che reagisce con la materia organica e in una molecola di ossigeno “O2” utilizzabile dagli organismi acquatici per la respirazione.

ozonizzatore Blue koi 3

Ho deciso di non mettere le pietre porose direttamente all’interno del mio lago, in quanto non amo vedere l’effetto innaturale delle bolle che salgono dal fondo.

All’interno delle camere del letto fluido, la resa dell’ossigenatore è maggiore rispetto ad un ipotetico diffusore posto sul fondo del laghetto poiché il flusso in controcorrente del filtro aumenta sensibilmente il tempo di contatto tra le bolle d’aria e la colonna d’acqua.

Un altro corollario della legge di Boyle mette in relazione diretta il tempo di contatto delle bolle d’aria con l’acqua che le circonda.

Un diffusore d’aria posto sul fondo del laghetto, libera delle bolle che compiono un percorso rettilineo, dal fondo alla superficie, in un tempo piuttosto breve, generalmente di pochi secondi.

Se invece, il medesimo diffusore d’aria fosse posto sul fondo di una camera di un filtro a letto fluido, le bolle incontrerebbero un flusso di acqua in senso contrario al loro tragitto verso la superficie.

Questo flusso in controcorrente, assieme alla presenza dei biocarriers in moto convettivo, trattiene sott’acqua le bolle per un tempo piuttosto lungo, aumentando il tempo di contatto tra i due fluidi (aria e acqua) e quindi la resa dell’ossigenatore.

diffusore d’aria microforato sul fondo di un filtro a letto fluido

In questo modo è anche possibile evitare lo sgradevole effetto delle bolle in vasca.

Invece, nelle mie vasche di allevamento, considerato il volume di soli 10 mila litri e l’elevato numero di koi presenti, ho preferito mantenere in vasca un paio di diffusori d’aria “di sicurezza” nel caso di blocco della pompa che comunque non si è mai verificato.

Naturalmente, anche nelle camere del biologico delle vasche di allevamento mantengo una consistente aerazione del materiale filtrante.

E’ intuitivo comprendere come i laghetti e le vasche di volume ridotto siano soggetti a notevoli escursioni termiche, potenzialmente pericolose per la vita dei pesci, soprattutto se si considera la temperatura che l’acqua può raggiungere durante il periodo estivo.

Eventualmente, per limitare i danni estetici delle bolle stile idromassaggio nel laghetto, consiglio sempre di posizionare le pietre porose dell’ossigenatore direttamente sotto la cascata (vedi figura qui sotto).

In questo modo otteniamo un vantaggio duplice:

  1. limitiamo il danno estetico e il disturbo visivo dovuto alle bolle. Nel punto dove c’è la cascata, l’acqua è già molto mossa quindi le bolle provenienti dal fondo non compromettono ulteriormente la visibilità.
  2. miglioriamo lo scambio gassoso tra aria e acqua poiché la corrente della cascata tende ad aumentare il tempo di contatto trattenendo le bolle sott’acqua. Come mostrato in figura, le linee di flusso dell’aria (in rosso) sono in controcorrente con le linee di flusso dell’acqua che cade dalla cascata (in blu).

Comunque, il migliore metodo di ossigenazione in assoluto in termini di resa effettiva è l’iniettore venturi, un sistema che sfrutta la differenza di densità dei due fluidi, aria e acqua.

Facendo sempre riferimento alla dinamica dei fluidi, l’acqua è incomprimibile e quando viene spinta (da una pompa) attraverso un tubo con una strettoia, la velocità di scorrimento dell’acqua aumenta, poiché il flusso deve rimanere costante, pur attraversando una sezione più stretta.

schema di un “iniettore venturi”

 

 

 

Questo aumento della velocità, grazie alla considerevole differenza di densità tra i due fluidi (aria e acqua), esercita una forte azione di trascinamento dell’aria attraverso il tubo di pescaggio con un potentissimo effetto di miscelazione con l’acqua.

Il risultato è un potente flusso turbolento di acqua e micro bolle di aria che, se indirizzato in diagonale verso il fondo del laghetto, aumenta considerevolmente il tempo di contatto e quindi la solubilità dell’ossigeno in acqua.

Tuttavia, anche questo sistema ha il suo punto debole.

Rispetto ad un acquario, il laghetto è caratterizzato dalla presenza di un diverso tipo di detrito, tra cui foglie e detrito vegetale in genere.

Questo comporta il rischio di un intasamento della griglia di pescaggio della pompa e il calo di portata che ne consegue può ridurre o annullare l’effetto venturi.

Per queste ragioni, nel caso si decidesse di allestire un iniettore venturi, è fondamentale farsi consigliare bene dal proprio rivenditore di fiducia, sia per quel che riguarda la scelta della pompa più indicata, sia per la costruzione del tubo venturi vero e proprio, ma soprattutto riguardo al posizionamento corretto di questo sistema nel laghetto.

In definitiva, qualunque sistema di ossigenazione si decida di adottare, è buona norma verificarne regolarmente l’efficacia, con il test dell’ossigeno, ricordando sempre che la concentrazione ottenuta non è un valore assoluto, come invece accade per ammoniaca, nitriti e nitrati, ma va sempre rapportata alla temperatura dell’acqua al momento del test.

Ciò significa che, un valore di concentrazione di ossigeno disciolto che, da tabella, risulti ottimale a 25°C possa essere pericolosamente basso ad una temperatura di 12°C.

Come ho raccomandato in precedenza, nel caso aveste dei dubbi interpretativi in materia di misurazione dell’ossigeno disciolto, NON IMPROVVISATE, ma affidatevi alla competenza e alla professionalità del vostro rivenditore di fiducia.

 

Dott. Luca Ceredi

www.allevamentocarpekoi.it

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Com’è fatto e come funziona il filtro a letto fluido.

Nati da un progetto italiano e assemblati con metodo artigianale dall’azienda italiana Seaplast, questi innovativi filtri  a letto fluido si presentano come strutture  autoportanti costruite in tecnopolimero estremamente resistente alle intemperie e all’irradiazione solare.

Simili solo esternamente ai tradizionali filtri a camere, sono dotati di uno scompartimento iniziale che può contenere uno sterilizzatore uvc ad immersione, un secondo vano dedicato alla filtrazione meccanica tramite spazzole per poi arrivare alle camere che ospitano i carriers del letto fluido.

Ciascuna camera è dotata di valvola valterra da 50 mm di diametro per lo scarico dei fanghi.

Le apposite griglie di materiale plastico, con fori 12×12 mm, poste sul fondo di ciascuna camera consentono una perfetta circolazione dell’acqua, mantenendo in sede le spazzole della parte meccanica e i carriers della parte biologica.

A differenza dei tradizionali filtri con camere in serie, questi moderni impianti sono strutturati in modo tale che il flusso dell’acqua attraversi le camere del letto fluido “in parallelo”.

Questo consente di dividere equamente la portata d’acqua in entrata, riducendo sensibilmente la velocità del flusso in ciascuna camera.

Così facendo, il tempo di contatto tra l’acqua e le colonie batteriche adese ai carriers aumenta sensibilmente.
Inoltre, il movimento convettivo dei maccheroncini, mantenuto costante da una moderata aerazione, favorisce un trattamento omogeneo del flusso di acqua che attraversa ciascuna camera.

La particolare struttura delle camere biologiche è stata studiata e realizzata in modo da trattenere le proteine delle sostanze organiche in decomposizione, che si accumulano in superficie sotto forma di una schiuma densa che può venire rimossa manualmente.

Trattandosi di un “letto fluido” viene categoricamente scongiurato il rischio della formazione di percorsi preferenziali del flusso di acqua, tipici dei “letti statici”.

Le bolle d’aria dell’impianto di aerazione hanno un blando effetto abrasivo sul Carrier biologico tale per cui, la parte vecchia delle colonie batteriche viene continuamente rimossa favorendo un rinnovamento costante del biofilm.

A sua volta, il biofilm appesantisce i carriers quel tanto che basta per renderli quasi neutri in acqua, rendendo ancora più efficace il moto convettivo provocato dall’aerazione.

Le camere biologiche disposte in parallelo rispetto al flusso e l’aerazione in controcorrente alla direzione di scorrimento dell’acqua, ottimizzano il tempo di contatto tra i carriers e il flusso idrico che li attraversa.

Questo consente ai “batteri buoni” di avere tutto il tempo necessario per svolgere la loro azione depurativa sulle molecole d’acqua, completando la parte aerobica del ciclo dell’azoto (ammoniaca-nitrito-nitrato).

Oltre a mantenere in costane movimento i carriers, l’aerazione in controcorrente, presente in questo tipo di filtro, arricchisce l’acqua di ossigeno, aumentandone il potenziale redox.

In parole semplici, questo parametro, strettamente correlato alla disponibilità di ossigeno, quindi al grado di aerazione della colonna d’acqua, rappresenta una misurazione (espressa in millivolts mV) dello stato di salute di un ecosistema.

Un laghetto sano ha un potenziale redox alto (a partire dai 250 mV), che equivale ad una buona capacità di decomporre efficacemente la materia organica, mantenendosi in un elevato stato di qualità ambientale, con un effetto benefico diretto sulla salute di tutti gli organismi acquatici.

Anche tutta la flora e la fauna bentonica, cioè tutto l’insieme dei micro organismi animali e vegetali che costituiscono e popolano il biofilm sulle superfici sommerse, beneficiano di tale condizione, proliferando in maniera ottimale.

Questo tipo di filtro biologico, opportunamente calibrato al volume d’acqua da trattare e correttamente riempito con i giusti carriers, riesce a mantenere il laghetto in condizioni biochimiche costantemente eccellenti, con effetti benefici diretti sulla salute dei pesci nel breve e lungo periodo.

Guida alla gestione consapevole del periodo di letargo delle koi

[vc_row][vc_column][vc_column_text]Il freddo dei mesi invernali, caratteristico delle nostre latitudini a clima temperato, consente alle koi di poter effettuare un salutare periodo di “letargo”. Questo “stand by metabolico”, se affrontato e gestito correttamente, assicura un ritmo di crescita dei pesci “secondo natura”, promuovendo la proverbiale longevità e robustezza delle nostre koi.

Questo articolo è indirizzato ai koi keepers responsabili che desiderino imparare a gestire in maniera consapevolmente il proprio laghetto, evitando di affidarsi al caso o, peggio, a “chiacchiere da bar”!

Tale modalità gestionale richiede la comprensione di alcuni concetti base di fisiologia e di biochimica che, spiegati in modo semplice e chiaro, sono alla portata di chiunque. Occorre conoscere con precisione anche la sequenza cronologica stagionale delle operazioni da svolgere dato che si tratta di un ciclo continuo che si ripete ogni anno.

Per schematizzare iniziamo dalla primavera. Questa è la stagione più delicata in assoluto per le koi. Il lungo digiuno invernale è ormai terminato e l’aumento del fotoperiodo, prima ancora dell’innalzamento delle temperature, segnala alle koi che il periodo della riproduzione si sta avvicinando.

Karashigoi-Luca-Ceredi-Koi-Farm

Karashigoi-Luca-Ceredi-Koi-Farm

L’attività riproduttiva implica un notevole dispendio energetico quindi è necessario aver impostato un piano nutrizionale corretto.

Ad esempio, un ottimo alimento che io utilizzo per rimettere in moto l’apparato digerente delle koi è “l‘Hikari weath germ“.

Questo mangime, alternato quotidianamente al “ricostituente affondante” e “all’immunostimolante“, rappresenta una eccellente dieta primaverile.

Il graduale innalzamento termico mette in moto anche tutti i patogeni, quindi occorre spingere sull’acceleratore del sistema immunitario delle koi.

Trascorse circa tre settimane dalla prima somministrazione di cibo, possiamo arricchire la dieta dei nostri pesci aggiungendo il “koi cure“, un mangime studiato appositamente per lavorare sul sistema immunitario e per essere altamente digeribile anche a temperature ancora relativamente basse.

La frequenza, la quantità per singola somministrazione e le percentuali di ciascuna referenza sul totale vanno calibrate in relazione alla specifica zona climatica, all’inerzia termica del laghetto (a sua volta legata alla capacità e al profilo batimetrico) e alla biomassa di pesci rapportata al volume d’acqua, tanto per citare alcuni dei più importanti fattori di cui occorre tener conto.

Se davvero avete a cuore la salute delle vostre koi, affidatevi esclusivamente a rivenditori competenti che sappiano aiutarvi, con la loro professionalità, a valutare tutti questi aspetti della vostra specifica realtà.

Tutto il periodo estivo rappresenta il momento migliore per preparare le koi all’inverno.

L’attività metabolica delle carpe è al massimo e l’appetito pure!

Dobbiamo approfittarne, affinché i pesci possano immagazzinare le riserve energetiche necessarie ad arrivare a fine inverno in buona forma.

Il mangime “top class koi” alternato al “Saki hikari balance” e al mangime con spirulina, rappresenta un valido aiuto per soddisfare il complesso fabbisogno nutrizionale delle koi.

Una dieta varia e di qualità è il presupposto senza il quale diventa impossibile mantenere i nostri pesci in buona salute sul lungo periodo.

Troppo spesso mi accorgo di quanto sia sottovalutato questo aspetto del koi keeping.

I pesci vengono alimentati con un solo tipo di cibo dalla primavera all’autunno, nella assurda convinzione che “quel mangime” possa contenere TUTTO ciò di cui le carpe hanno bisogno.

Questa concezione utopistica porta all’inevitabile disastro.

Con queste premesse, dovrebbe essere chiaro che la preparazione all’inverno inizia a partire dalla primavera e non all’arrivo delle prime brinate.

Trattandosi di pesci che popolano le acque dolci temperate, le carpe possiedono degli specifici meccanismi di adattamento fisiologico per riuscire a regolare la loro attività metabolica in relazione alle notevoli variazioni climatiche stagionali.

Tutto ciò richiede tempo.

Quando arrivano i primi freddi ormai i giochi sono fatti.
Prima che la temperatura dell’acqua scenda sotto gli 8 gradi centigradi, è buona norma interrompere la somministrazione di cibo.

In questa fase dell’anno, occorre fare attenzione ai cambiamenti fisico-chimici dell’acqua.
Il carico organico si riduce notevolmente dato che i pesci non si alimentano più, quindi possiamo dilatare l’intervallo di somministrazione dei “batteri depuranti“.
Le piogge abbondanti e frequenti e le nevicate diluiscono notevolmente la concentrazione dei sali carbonati.

Com’è noto, la famiglia dei carbonati costituisce un’importante risorsa di sali minerali biodisponibili, costantemente utilizzati dagli organismi acquatici per le loro funzioni vitali.

Inoltre, la durezza carbonatica, cioè il KH (misura della concentrazione dei sali carbonati disciolti in acqua) è chiamata anche durezza tampone poiché svolge il ruolo di stabilizzatore del valore di pH.

La diluizione del KH può ridurre drasticamente la capacità tampone di questi sali con conseguenti sbalzi di pH, spesso letali per le koi.

Si può facilmente evitare tutto ciò testando regolarmente il valore di KH e aggiungendo i sali minerali KH+.

Questa speciale miscela di sali, oltre a stabilizzare il pH, si deposita nel biofilm delle superfici sommerse, simulando un fondo naturale, ricco di microorganismi e minerali utili.

Un ulteriore accorgimento a tutela della salute delle nostre amate koi, è quello di aggiungere un buon “biocondizionatore” all’acqua del laghetto durante e dopo le abbondanti precipitazioni. Soprattutto per coloro che abitano nelle grandi città, le acque di prima pioggia rappresentano un fattore di rischio a causa delle particelle inquinanti che queste raccolgono col dilavamento atmosferico.
Il biocondizionatore protegge le mucose dei pesci (pelle e branchie) legando queste particelle e rendendole innocue.

La pelle dei pesci è ricoperta da un sottile strato di muco che li rende viscidi al tatto e protetti dagli agenti patogeni.
La funzionalità delle lamelle branchiali è di vitale importanza per le koi poiché esse rappresentano un importante organo di scambio tra il corpo del pesce e l’ambiente acquatico.

Oltre alla protezione delle mucose, il regolare utilizzo di un biocondizionatore ricco di vitamina C stabilizzata, riduce notevolmente il rischio di stress nei pesci.

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Effetti diretti e indiretti delle basse temperature sulla fisiologia e sul metabolismo delle koi.

[vc_row][vc_column][vc_column_text]La più elementare classificazione degli animali, in relazione alla temperatura, si basa sulla provenienza del calore corporeo.
Gli ENDODERMI lo generano in proprio, mentre gli ECTOTERMI risultano quasi totalmente dipendenti dall’ambiente che li circonda.
Gli endotermi, cioè tutti gli uccelli e i mammiferi insieme ad alcuni vertebrati inferiori e a qualche insetto, mantengono la loro temperatura corporea ben al di sopra di quella ambientale.
Sebbene la maggior parte di questi animali abbiano un buon isolamento fornito da pellicce o da piume, essi mantengono il proprio calore con un notevole dispendio metabolico.
L’attività metabolica di un endotermo a riposo risulta almeno cinque volte più elevata di quella di un ectotermo pari taglia.
Gli ectotermi (ad esempio le koi) mostrano dei tassi di produzione di calore metabolico molto bassi associati ad una elevata conduttanza dermica, cioè possiedono uno scarso isolamento.

Di conseguenza, il calore derivante dai processi metabolici viene rapidamente dissipato nell’ambiente.
D’altra parte, l’elevata conduttanza termica consente agli ectotermi di assumere rapidamente il calore dall’ambiente cosicché la temperatura corporea di questi animali si accorda passivamente con quella ambientale.
Quindi, l’attività metabolica della maggior parte degli ectotermi, carpe comprese, è condizionata da una temperatura corporea variabile, diventando due o tre volte più elevata per ogni aumento di 10 gradi della temperatura ambientale.
Le carpe Cyprinus carpio sono teleostei (pesci ossei) che abitano le acque temperate di quasi tutto il pianeta.

Questi ambienti, per loro natura, sono soggetti ad importanti escursioni termiche stagionali.
I pesci che le popolano, carpe comprese, possiedono dei sistemi enzimatici con un intervallo ottimale di temperatura notevolmente ampio che consente loro di vivere senza alcun problema durante tutte le stagioni.
Al contrario, i pesci tropicali possiedono solo alcuni tipi di enzimi che funzionano in un intervallo di temperatura molto ristretto.

Le oscillazioni termiche naturali, tipiche degli ambienti temperati, inducono nelle carpe delle modificazioni compensatorie fisiologiche che le aiutano a far fronte alle condizioni estreme di caldo e di freddo.
Le koi che vivono in laghetti degni di tale nome (con una capacità ed una profondità adatte ad ospitare questi pesci) durante le settimane autunnali, mettono in atto numerosi adattamenti biochimici compensatori per poter affrontare il freddo invernale.
L’insieme dei cambiamenti fisiologici che intervengono in questo tipo di adattamento è detto ACCLIMATAZIONE.
Affinché tutto ciò possa avvenire con successo, è fondamentale che le koi siano state alimentate correttamente durante il lungo periodo di attività metabolica, che va dall’inizio della primavera al tardo autunno.[/vc_column_text][vc_video link=”https://youtu.be/EtKPPMiZiS4″][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]In questo articolo, non mi dilungherò sulle caratteristiche di una dieta corretta e bilanciata per le koi: il vostro rivenditore di fiducia avrà sicuramente la competenza necessaria per consigliarvi al meglio.
Fatte le dovute premesse, vediamo come gestire le koi in inverno.Prima di tutto, ci tengo a chiarire una cosa:
Sono ormai parecchi anni che allevo koi e cerco di produrre esemplari sempre più belli, facendo comunque molta attenzione al fatto che, la qualità del fenotipo cresca di pari passo ad un elevato standard genotipico.
In altre parole, il mio obiettivo è quello di fare nascere koi belle e robuste, in grado di incarnare quell’ideale di bellezza, forza e resistenza alle avversità proprie della tradizione orientale dalla quale derivano e che, a mio avviso, i giapponesi stessi stanno perdendo, dando la priorità al business.
Allevare delicatissimi soprammobili non rientra tra i miei obiettivi.
Le mie koi nascono, crescono, vivono e si riproducono sempre e solo all’esterno.

 

[/vc_column_text][vc_video link=”https://youtu.be/ywRe9RtDHII”][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]La koi Farm è situata in una valle dove, in inverno, le temperature scendono abbondantemente al di sotto dello zero e la superficie dei laghi e delle vasche ghiaccia, sempre.
Ogni inverno, si forma uno spesso strato di ghiaccio tanto che io, che peso 85 kg, riesco a camminarci sopra.
Prima di poter essere vendute, le tosai trascorrono il loro primo inverno sotto il ghiaccio in letargo, senza mangiare per quasi 4 mesi, cosicché, ad Aprile, ho la certezza di poter offrire pesci sani e robusti, oltre che belli!
Durante l’inverno, il ghiaccio ricopre circa il 90% della superficie dell’acqua, ma questo non crea alcun problema alle koi per i seguenti motivi:

  • sia i laghi che le vasche hanno una profondità sufficiente ad evitare di surgelare i pesci
  • Il flusso delle pompe che pescano acqua dal fondo viene ridotto per favorire il mantenimento del termoclino, cioè un gradiente termico tra superficie e fondo, che si inverte tra estate e inverno.
  • Il flusso d’acqua della pompa degli skimmer ( che pesca acqua solo dalla superficie ) viene mantenuto costante per garantire un buon ricircolo superficiale in modo da mantenere sempre delle aree libere dal ghiaccio. Infatti, l’acqua che possiede energia cinetica, congela ad una temperatura più bassa rispetto a quella ferma.
  • Le basse temperature favoriscono la solubilità e la permanenza dell’ossigeno in acqua, consentendo una soglia di saturazione molto elevata. ( Legge di Boyle, legge di Henry, legge di Dalton, principio di Pascal )
  • Le koi possiedono, per natura, tutti gli strumenti, i meccanismi e gli adattamenti fisiologici necessari per fare fronte alle variazioni termiche stagionali, tipiche delle zone temperate.
  • rispettare i ritmi naturali di crescita, scanditi dall’alternarsi delle stagioni, è di vitale importanza per i pesci che popolano gli ambienti temperati.
  • un periodo di almeno 8/12 settimane di “letargo” fovorisce alcuni processi metabolici di fondamentale importanza ( consumo di riserve lipidiche, cicli ormonali ecc.) per un naturale sviluppo fisico e fisiologico delle koi.
  • Carpe nate e cresciute all’aperto, durante tutte le stagioni, risultano inequivocabilmente più forti e robuste rispetto a quelle che, sin dal primo anno di vita, trascorrono l’inveno in serra.

Purtroppo, mi capita spesso di sentire opinioni in materia di “gestione koi” che assomigliano più a chiacchiere da bar o a deliri folli piuttosto che a consigli e raccomandazioni fondate su basi scientifiche concrete.

Tuttavia, in certe situazioni, può essere rischioso lasciare che le koi possano andare in letargo.

Si tratta di casi molto particolari e specifici, ad esempio di koi in convalescenza o che, per varie ragioni, sono state male nutrite o denutrite, ma anche, purtroppo, di carpe allevate come “delicati soprammobili” che, per quanto belle possano essere, a mio modesto parere hanno perso totalmente il fascino originale del sapiente mix tra forza, bellezza ed eleganza.

Rimanendo sempre nell’ambito dei pareri personali, ritengo che la bellezza di una koi non sia circoscritta unicamente al suo aspetto, quindi al suo fenotipo, quanto piuttosto comprenda anche il suo comportamento, inclusa la capacità di fare bella mostra di se in un laghetto inteso come ecosistema acquatico, durante tutte le stagioni, senza costringere il proprietario a vivere con l’ansia che possa succedere una tragedia causa di una rana, una libellula o il ghiaccio (tanto per menzionare alcune tra le paturnie più diffuse)!!!

La mia formazione scientifica mi porta a progettare, costruire e gestire un laghetto come un piccolo ecosistema acquatico, semplicemente “copiando” i processi biochimici messi a punto dalla natura.

Per questo, non riesco proprio ad apprezzare quelle vasche coibentate come se fossimo alle Svalbard ( arcipelago del mare glaciale artico ) e gestite come un idromassaggio, con l’impiego ( io direi “lo spreco”! ) di una grande quantità di energia elettrica e dove, per poter osservare le koi, bisogna spegnere pompe e aeratori.

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